Forse 40 chilometri tra Conegliano e Valdobbiadene, da un capo all’altro delle colline. Una successione di verdi gobbe di balena che emergono da un oceano immobile da milioni di anni. E sopra filari di viti: un esercito di soldati disarmati che si nutre di sole e acqua.
Un paesaggio unico: morfologia del territorio e azioni dell’uomo. Nel percorrere quelle strade curvilinee, si prova uno strano effetto osservando la successione di ordine umano e vigoria vegetale, i fili di ferro come corde di uno strumento musicale. Le immagini delle stagioni sono da mozzafiato e un viaggio notturno, nel silenzio punteggiato da luci tra le colline, è già materia per una storia.
La sfida è un filo di ferro teso dove, come equilibristi, camminano enologi, bottai, potatori, raccoglitori, vignaioli e saggi bevitori. Perché un luogo che fa liberare nell’aria milioni di bollicine, deve mandare un segnale di lievità, e assaporando il vino si deve percepire la miscela di brezze, piogge e luce. Miscela irripetibile. Il vino e il suo territorio raccontano chi siamo. Sono narrazioni che rimarranno nel tempo, a testimonianza della nostra intelligenza e sensibilità.
"Era un’immersione fantastica, tutte le volte che attraversavo quei luoghi per scrivere il romanzo “Finché c’è prosecco c’è speranza”: devi respirare, vedere, assaggiare, bere un territorio per raccontarlo. Un territorio che possiede un patrimonio di bellezza e porta, dentro di sé, la sfida tra conservazione e produzione, tra il tempo della terra e il tempo del mercato." (Fulvio Ervas, scrittore ed autore del libro Finché c'è Prosecco, c'è speranza).